Hamsa Upanishad


Questa Upanishad tratta del noto termine sanscrito “hamsa” (cigno). Fa parte dello Śukla Yajur Veda e consta di 21 brevi sezioni in cui viene esposta in modo molto condensato la teoria e la pratica del mantra hamsa.

Questo mantra è considerato il risultato del suono naturale della respirazione.


Shabda Brahman è suono, e il suono è la base delle parole, del linguaggio. Questo aspetto e funzione della Divinità si manifesta come Sarasvatī, dea del linguaggio e dell’intelletto, che ha Hamsa, il cigno, come suo veicolo (Hamsa può separare l’acqua dal latte quando lo beve, simbolo del discernimento intelligente).

Sarasvatī è la signora del pensiero, della parola e del linguaggio, che prendono forma percepibile con il respiro. Ham-Sa, come mantra base, vitale, si emette naturalmente nel processo respiratorio: Ham, all’espirare, Sa, all’inspirare; questo accade 21.600 volte al giorno, mantenendo così la vita e proclamando la sua natura divina attraverso il respiro.


L’Hamsa Upanishad, scritto sotto forma di dialogo tra il saggio Sanatkumara e il suo discepolo Gautama, presenta un insegnamento che può essere collocato all’interno del Kundalini Yoga.

Questa Upanishad consiglia di praticare la recitazione silenziosa di hamsa a coloro che non sono in grado di contemplare direttamente il Sé trascendentale.


Questo implica l’osservazione consapevole della “preghiera” spontanea della respirazione.

In tal modo, afferma il testo, si generano tutti i tipi di suoni interni (nada). Si afferma che hamsa penetra nel corpo come il fuoco penetra il legno o l’olio penetra nel seme di sesamo.


Il testo menziona otto funzioni principali di hamsa ma in realtà ne descrive dodici, collegate al “loto del cuore” (hrit padma). Viene anche fornita una descrizione dei dieci livelli di manifestazione del suono interno, associandoli a diversi fenomeni, significativi a partire dal quarto: tremore alla testa, flusso del nettare dell’immortalità (amṛta), godimento del fluido d’ambrosia, acquisizione della conoscenza segreta, perfezione della parola (para-vāk), capacità di diventare invisibili e contemplare l’infinito e, infine, identificazione con l’Assoluto.


Si chiede al praticante di concentrarsi sul decimo livello, il suono più sottile simile al tuono (megha nāda).


Tutto questo processo conduce all’identificazione con il Sé trascendentale, alla realizzazione di Sadā-Śiva (lo “Śiva eterno”), che è il luminoso e pacifico sostegno di tutta l’esistenza.