Nella pratica dello yoga, molti si avvicinano con entusiasmo, ma è frequente che questo slancio iniziale si perda nel tempo, sopraffatto dall’idea che lo yoga sia soltanto esercizio fisico. Ma lo yoga, nella sua essenza, non è una disciplina di prestazione; è presenza, ascolto, intimità con il respiro e con ciò che accade dentro. Cercare il “livello successivo” significa spesso allontanarsi dal cuore stesso della pratica, nutrendo non l’essere, ma l’ego.
Vi è anche la tentazione, sottile e costante, di paragonarsi agli altri. Uno sguardo al tappetino accanto e nasce il confronto: chi è più flessibile, chi più avanzato. Questo ci distrae, ci irrigidisce, e a volte ci ferisce — non solo nel corpo, ma anche nel modo in cui giudichiamo noi stessi. Eppure lo yoga non chiede paragoni, ma autenticità.
Anche il respiro, che è l’anima silenziosa della pratica, viene spesso trascurato. Ma senza una respirazione consapevole, ciò che resta non è yoga, ma una sequenza vuota di movimenti. Il respiro guida, sostiene, trasforma.
Forzare il corpo è un altro inganno: pensare che il dolore sia progresso è dimenticare che ogni corpo ha il proprio ritmo, e il vero rispetto nasce nell’ascolto, non nella conquista. Lo yoga accoglie ciò che è, senza pretese.
Quando si ignora la dimensione mentale e spirituale, lo yoga si svuota. Non è la forma che conta, ma lo spazio che essa crea dentro. Anche l’immobilità silenziosa, quando abitata con presenza, è yoga nella sua forma più pura.
E infine, l’errore forse più diffuso: voler comprendere tutto con la mente. Ma lo yoga non si spiega: si vive. È un cammino che passa attraverso il corpo, il respiro e il sentire. Alcuni insegnamenti si rivelano solo quando si smette di cercarli con le parole.
Che la pratica sia dunque semplice, sincera, senza ostentazione. Più ascolto, meno confronto. Più verità, meno apparenza. Lo yoga non è qualcosa da raggiungere: è ciò che siamo, ogni volta che ne diventiamo consapevoli.
— George Parker Thompson